Il Presepe vivente

Data di pubblicazione:
04 Dicembre 2018
Il Presepe vivente
Introduzione
Nell’anno 2000 un gruppo di giovani Amministratori, forti soltanto del loro entusiasmo per il rinnovamento del paese e dell’orgoglio per le proprie radici, immaginò di trascinare tutti i concittadini in un gioco incantato con cui reinventare le tradizioni di Panettieri e rivitalizzarne le prospettive di sviluppo. Il piccolo borgo di 300 anime, incastonato nel meraviglioso panorama della Sila, munito di risorse limitate ma dotato di grande volontà e capacità realizzativa, ha subito accettato con entusiasmo di farsi coinvolgere in modo assoluto e generalizzato in questo gioco, che è cosi’ diventato una vera e propria scommessa sulla possibilità di una partecipazione totale al recupero della propria vitalità ed alla creazione di maggior benessere, nel rispetto della fede cattolica e della solidarietà. Col trascorrere degli anni si è quindi cercato di porre sempre più l’intero paese al centro di un evento originale e significativo e soprattutto i giovani sono stati stimolati a rinnovarsi, attraverso la “scoperta di sentieri nuovi” e la “riscoperta di sentieri vecchi” sempre però con la sensazione bellissima di “inventare giocando” e quindi con la consapevolezza di partecipare con allegria alla migliore tutela del paese e della comunità. Da diverso tempo la scommessa è stata vinta, ma oggi possiamo affermare con orgoglio che la manifestazione del “Presepe vivente di Panettieri” è diventato un evento di rilevanza regionale, come dimostrano le tante migliaia di visitatori che hanno voluto tributare il loro apprezzamento in numero ogni anno sempre più significativo. Siamo altresi’ orgogliosi di aver saputo dimostrare come sia possibile non far morire un piccolo paese ed anzi aiutarlo a vivere meglio, valorizzandone gli aspetti più caratteristici della cultura e della tradizione popolare. Èsicuramente un esempio virtuoso di “attenzione al bene pubblico”, soprattutto se confrontato con i comportamenti amministrativi di altri Comuni anche notevolmente più grandi, che sanno invece soltanto recriminare su presunte difficoltà territoriali e/o limitatezza di risorse, spingendo colpevolmente le giovani generazioni verso la più completa apatia e mortificandone le attenzioni e gli stimoli verso concrete azioni di riscatto Con questo volume del prof. Franco Rose, la nostra Amministrazione intende rendere una testimonianza visiva di quanto Panettieri ha saputo realizzare, in modo da suscitare nei nostri giovani sempre maggiori stimoli alla partecipazione ed al coinvolgimento nelle attività amministrative.

PANETTIERI: STORIE DI TERRE, DI PANE, DI BRIGANTI, DI ABBAZIE E DI PRESEPE
Da circa dieci anni, a partire dai primi di novembre fino al 24 dicembre, nel paese di Panettieri fervono i preparativi per un presepe davvero speciale: un presepe vivente. Speciale perché tutto il paese si trasforma in un teatro ed i suoi abitanti diventano per l’occasione dei teatranti. Qui le stradine ricoperte di paglia, i sacchi di lino e di iuta, gli asini e le pecore diventano i simboli materiali di una rappresentazione che ci porta indietro nel tempo, in un altro paese lontano da qui, a Betlemme.
Ecco perchè le 5/6 rappresentazioni che cominciano alle cinque della sera e durano circa due ore, in un percorso suggestivo, richiamano migliaia e migliaia di persone.
Nel 2000, che segna l’inizio del terzo millennio, ha luogo, dunque, la prima rappresentazione del presepe vivente e, per una combinazione siderale, inizia forse anche quel “Tempo dello Spirito”, profetizzato da Gioacchino da Celico, vissuto per molti anni poco lontano da Panettieri. Seguendo il percorso nei vicoli con i bracieri accesi, sotto le luci rossicce del tramonto, osservo i volti dei paesani immersi con grande sicurezza nei loro personaggi, e vedo i gesti veri di mestieri antichi. Èveramente commovente questa “pietà popolare” che rivela serenità di appartenenza e dir poco pregnante. Ecco il segreto di Panettieri: La certezza e anche la giusta ostentazione di far parte di una comunità. Bellissimo!!! E le piccole imperfezioni rappresentative-occhiali e mais- non turbano ma rafforzano questo loro dire con vera ingenuità e spontaneità. Osservo anche la preparazione del pane in un forno a legna posto dentro al “Museo del pane” –altra realizzazione da visitare –situato vicino alla casa del brigante Giosafatte Tallarico... Ma, direbbe Kipling, questa è un’altra storia... Tutto il percorso, dalla corte di Erode alla presenza dell’angelo Sterminatore, dalla cascata alla grotta, dalle filatrici al maniscalco, è per me un tuffo nella memoria, mi rivedo bambino quando andavo a guardare il presepe del mio convento con i suoi grandi pastori, e poi a fare il giro dei “focari”...con le tasche piene di bombe-carte e le ginocchia sbucciate. Durante il percorso sento antichi profumi, che forse avevano sentito anche gli antichi pastori del vicino oriente quando, in una sera magica, tre Sapienti gridarono: “...siamo venuti per adorarLo...”
Ho cercato di rappresentare attraverso le foto queste sensazioni, ma la fotografia è un linguaggio che racchiude un ossimoro di per sè difficile: vedere le cose oggi per richiamare i ricordi di ieri e per proiettarli come ...Futuro della Memoria.
Panettieri ed i suoi abitanti ci sono certamente riusciti.

PANETTIERI: DAL PRESEPE VIVENTE AL PANE NOSTRO
Le “vie” del pane sono anche le vie del vento, nello spazio e nel tempo, da quando dal Corno d’Africa tra il Mar delle Canne ed il Nilo Azzurro una spiga d’oro attirò lo sguardo in un Uomo non ancora uomo, il grano diventò nelle Mezzelune fertili nutrimento! Nato nella cenere e sulla pietra tanto tempo fa prima delle parole, prima dei libri e prima ancora della storia. Il grano diventò cibo e fece diventare stanziali, intorno ai focolari di pietra, i primi abitanti delle Mezzelune fertili, dove i cacciatori e i nomadi divennero pastori e agricoltori, dove Caino uccise Abele ...e qui incominciò la suddivisione del tempo in stagioni, dell’anno in mesi settimane e giorni... Qui incomincio l’alfabetizzazione alle grandi religioni del cuore e della mente qui nacque l’urbanizzazione, e si incominciò ad innalzare gli occhi verso il cielo, verso le stelle: “Vorrei che il Cielo cadesse sulla terra per farla diventare un altro Cielo”
la stella Anunit, e la stella Rondine divennero così le protettrici notturne delle spighe. Da allora grano, avena, orzo, segale, farro, miglio, e poi fave sesamo, castagne e mais divennero essenze diverse del pane. Oggi difendiamo e rispettiamo il pane nostro anche alla luce delle tragedie che purtroppo accadono in molte aree del nord Africa dove si combatte ancora per il pane! Noi abitanti opulenti del nord del mondo non dovremmo mai dimenticare che in ebraico la stessa radice letterale della parola pane è la parola guerra!!
“E meglie spiche sinne vannu a re lighere” dice con rammarico velato un vecchio adagio calabrese... Facciamo che oggi, nella gioia del Nuovo Tempo, le migliori spighe siano ancora sementi nella terra dissodata dei nostri cuori.

IL PRESEPE E IL PANE: IL LUOGO DOVE IL CIELO E LA TERRA SI TOCCANO
“La cosa che cade in un abisso / cade da cielo a cielo. / Friabili, fluenti, rocciose, / infuocate ed eteree, distese di cielo, briciole di cielo, / folate e cataste di cielo. / Il cielo è onnipresente / Perfino nel buio sotto la pelle./ Mangio il cielo […] La divisione in cielo e terra / non è il modo appropriato/ di pensare a questa totalità”.
Osservando le belle fotografie di Franco Rose dedicate al presepe vivente del paese di Panettieri ho ripensato a questi versi de Il cielo, lirica della poetessa, premio Nobel per la poesia, Wyslawa Szymborska. Terra e cielo sono molto più vicini di quello che si possa pensare, c’è qualcosa che le unisce. Più di una cosa esiste sulla terra e fa da ponte per il cielo; uno di questi tanti “pontefici” (colui che fa il ponte), uno dei più potenti, è senz’altro il pane. Tracce di pane le troviamo anche nel cielo nella Szymborska, quando parla delle distese di cielo come “friabili”, “rocciose”, “briciole di cielo”, perchè il cielo per la poetessa polacca è qualcosa che si mangia.
Lo sfondo di queste immagini è senz’altro cattolico e biblico. Per un miliardo di persone, tanti sono i cattolici oggi in tutto il mondo, ogni domenica viene apparecchiato un banchetto celeste in cui chi si accosta alla mensa può “mangiare il cielo”. Nel sesto capitolo del Vangelo secondo Giovanni Gesù opera il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e poi fa tutto un lungo e duro discorso sul “pane” in cui afferma: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6, 51). In queste parole c’è tutta la paradossalità del messaggio di Cristo che la Szymborska con l’intuizione dell’artista riesce a cogliere. Non c’è niente di più “terrestre” del pane, di quel seme di grano che per fiorire come spiga deve anzi scendere sotto la terra e morire (perché “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” - Gv 12,24) ma al tempo stesso il pane è anche qualcosa che discende dal cielo. Già gli antichi Ebrei avevano fatto questa esperienza, quando nel deserto avevano visto depositarsi una strana cosa ogni mattina davanti alle loro tende (e il nome “manna” viene proprio da “man hu?” cioè “che cos’è?”) e la manna è vista proprio come un “pane degli angeli”.
Con Gesù abbiamo la perfetta identificazione e incarnazione di questo fenomeno già preannunciato nell’Antico Testamento: è Cristo stesso il pane disceso da cielo, il pane che deve essere spezzato, come farà nell’Ultima Cena, prima delle innumerevoli mense eucaristiche, memoriali che i credenti realizzeranno in attesa della seconda venuta del Signore. Da questo punto di vista è straordinaramente suggestivo il significato del nome Betlemme, il villaggio in cui nasce il Dio fatto uomo: nell’antico ebraico Betlemme infatti vuol dire “Casa del Pane”. Ecco qua, tutto torna: nel paese di Panettieri, con la sua antica tradizione di cottura del pane, si riproduce ogni anno, con la partecipazione di tutto il paese, la notte di Betlemme, in cui gli angeli scendono dal cielo per annunciare la nascita in una grotta (sotto terra), di un seme che morendo vincerà definitivamente la morte, è questa il Lieto Annuncio, la Buona Novella, il Vangelo eterno.

Il pane che discende dal cielo (Cristo) e il pane degli uomini che scaturisce dal terreno (il lavoro dei fornai e con esso anche l’annuale presepe vivente con tutta la bella fatica che costa) s’incontrano mirabilmente nei giorni di Natale nel cuore della Calabria e questo incontro è ora riprodotto dalle fotografie di Franco Rose. Èun incontro esplosivo di colori, di luci, di gioia. Per questo, tra le tante riproduzioni, voglio soffermarmi, concludendo questa breve prefazione, su quella in cui si vedono i tre magi che guardano il cielo. Non è la fotografia più suggestiva della galleria realizzata da Rose, però è forse la più emblematica: i tre stanno scendendo lunga una strada ricoperta di paglia e uno dei tre indica con un braccio teso il cielo; è la scena descritta dal secondo capitolo del Vangelo secondo Matteo: “Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia”.“Una grandissima gioia”: è un’espressione potente e rarissima nel Vangelo, è il senso ultimo del mistero cristiano, come ha sinteticamente espresso il Papa Benedetto XVI nel recente libro-intervista Luce del mondo: “Il filo conduttore della mia vita è stato semplicemente questo: il cristianesimo dona la gioia, il cristianesimo allarga gli orizzonti”. Solo il Dio fatto uomo, che si offre come pane spezzato e condiviso ogni giorno per tutti gli uomini riesce ad allargare il nostro orizzonte e farci guardare verso luoghi meravigliosi e impensati, dentro una stalla sotto terra dove splende di luce divina un’umile famiglia umana o sopra nel cielo oltre ogni limite, dove brilla una stella che riempie il cuore di gioia. Dio non è più assetato di sangue di vittime umane, come nell’antichità, ma è lui stesso la vittima che si dà in pasto agli uomini e si lascia mangiare. Èlui stesso è cibo, e il cibo è vita e gioia: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34). 
Chiudendo questa bella galleria di fotografie si viene colti come dal contagio della gioia... il mio pensiero va ad un film di Manuel De Oliveira Acto da primavera, del 1963, uno dei più bei film girati sul Vangelo in cui il regista è riuscito a filmare una rappresentazione sacra della Passione di Cristo messa in scena da un intero paese contadino del centro più sperduto del Portogallo. In particolare ricordo una battuta all’inizio del film, quando si vede il barbiere del paese che rade tutti gli “attori” del film, che poi sono tutti i paesani, e quando uno dice: “anche a me? Ma non ho una parte nel film”, risponde: “Tutti hanno una parte nella Passione, c’è un posto per tutti”. Ecco qua, il segreto della magia racchiusa in queste foto, dove si vede una “liturgia” (dal greco “opera del popolo”), un fatto popolare, vero, concreto, come un pezzo di pane, cioè di cielo, perchè ha ragione la Szymborska: “Il cielo è onnipresente / Perfino nel buio sotto la pelle./ Mangio il cielo […] La divisione in cielo e terra / non è il modo appropriato/ di pensare a questa totalità”

 

Ultimo aggiornamento

Martedi 04 Dicembre 2018