Antichi mestieri

Data di pubblicazione:
04 Dicembre 2018
Antichi mestieri
La pagina raccoglie una ricostruzione degli antichi mestieri della tradizione di Panettieri, con lo scopo di conservarne gli usi e la memoria storica. Nel territorio, tra le altre, oltre alla più celebre tradizione della panificazione era presente una gloriosa scuola di Falconieri, Falegnami e Calzolai. 

Il calzolaio
La parte più consistente del lavoro del calzolaio, eccezion fatta per la realizzazione da nuovo delle calzature, consisteva nelle riparazioni. Questo perché farsi confezionare un paio di scarpe nuove costava molto di più che ripararle. Generalmente i contadini non indossavano scarpe d'estate, riservandole per l'inverno. Si possedeva un solo paio di scarpe, dozzinali e resistenti, rinforzate nella suola e nei tacchi con i chiodini (simìci). Nelle famiglie - specialmente tra i figli che crescevano - con le scarpe avveniva una sorta di passaggio del testimone: il componente più grande le passava al più giovane. Quando i campagnoli dovevano recarsi in paese, facevano buona parte del tragitto scalzi, con le scarpe a penzoloni sulle spalle legate per i lacci, indossandole solo in prossimità del centro abitato. Era un metodo per limitarne al minimo l'usura. La bottega del calzolaio era impregnata degli odori più strani: collapecegrasso cromatina; ed era un luogo d'incontro per scambiare quattro chiacchiere col calzolaio, che parlava senza mai distogliere lo sguardo dal suo lavoro.

Il casaro
Il latte munto, tanto un tempo quanto ai giorni nostri, viene spesso trasformato in formaggio e ricotte. Il casaro, avvalendosi della sua esperienza, metteva il latte in un pentolone e dopo averlo fatto coagulare con un poco di caglio (cagliatura), lo poneva sul fuoco e girandolo con un bastone otteneva il cacio, che costipava in apposita forma detta "fiscella". Il siero rimasto nel pentolone veniva ribollito e dalla sua ricottura si producevano dei fiocchi bianchi che risalivano in superficie formando uno strato di ricotta che veniva raccolta in "fiscelle" di forma lunga e sottile.
Il caglio si otteneva facendo essiccare lo stomaco pieno di latte degli agnellini ancora lattanti. Lo stomaco prelevato veniva appeso ad una trave vicino al caminetto ed il latte si trasformava in una crema molto acida detta "caglio".

Il fabbro
Il fabbro era un artigiano che godeva di molta considerazione nei diversi territori. Infatti, i paesi a vocazione agricola non potevano fare a meno di questo professionista lavoratore dei metalli. Con l'incudine, le pinze e le tenaglie, i martelli e le mazze, il fabbro modellava le barre di ferro incandescenti, che cedevano sotto i suoi colpi vigorosi, diventando zappe, vanghe, mannaie, accette, falci, picconi, roncole ferri di cavallo e brocche. Il fuoco doveva essere vivo e ininterrotto. Per aumentare il tiraggio sul carbone di legna, il fabbro utilizzava un mantice a forma di soffietto fatto di legno e cuoio.

Il falegname
falegnami del passato lavoravano tutto a mano.  Quando si trattava di lavori pesanti come portoni o armadi utilizzavano viti capaci di penetrare profondamente nel legno, con il cacciavite a mano, lavoro particolarmente arduo quando si doveva perforare un castagno. Ogni gruppo di falegnami cercava di migliorare il proprio lavoro, di renderlo più bello e forte e a volte inventava delle modifiche da apportare ad un pezzo che lasciava meravigliato chi l'osservava, ma che, in ultima analisi, accorciava i tempi di lavorazione e permetteva di starci dentro con il guadagno a lavoro finito.
In tutte le botteghe, specie in quelle di un certo rilievo, c'erano dei banchi di lavoro lunghi, larghi e pesanti ai cui fianchi non mancavano le morse per poter stringere e tenere fermo il legno da lavorare. In passato quasi tutti i mobili di una famiglia erano costruiti nelle falegnamerie locali. Si costruivano armadi, comò, sedie, tavoli e tutto ciò che poteva servire in casa, con un lavoro di scalpello che spesso lasciava stupefatti quanti osservavano il falegname al lavoro. Infatti, spesso, molti di questi mobili avevano parti scolpite. Ciò stava a dimostrare che si lavorava per guadagnare e per vivere della propria attività, ma nell'attività ci si metteva anche l'anima per fare un lavoro bello oltre che ben fatto.
La bottega del falegname era sempre ingombra e disordinata. Almeno così appariva agli incompetenti. Il pavimento era sempre ricoperto di segatura e trucioli di diversa grandezza e dimensione, a seconda del legno, del pezzo e della pialla. Alle pareti erano appoggiate travi, travicelli e arnesi attaccati ai chiodi: seghe, trapani a mano, morsette e via dicendo.

Il maniscalco
Il maniscalco era ed è oggi l'artigiano che esercitava l'arte della mascalcia, ossia del pareggio e ferratura del cavallo e degli altri equini domestici (asino e mulo).
Storicamente, l'arte del maniscalco si sovrapponeva in parte a quella del fabbro; i ferri venivano infatti forgiati al momento, e su misura, secondo le necessità dei cavalli. Attualmente l'ampia disponibilità commerciale di ferri di cavallo già pronti rende inutile il loro confezionamento, ma è comunque richiesta una certa competenza nella lavorazione del ferro per i necessari adattamenti che vengono attuati a freddo o a caldo con i tradizionali attrezzi del fabbro (fucina, incudine, mazza).
L'atto dell'adattamento e dell'applicazione del ferro non esaurisce però il compito del maniscalco; infatti, un'importante fase della ferratura è il pareggio, che consiste nell'asportazione dell'eccessiva crescita delle varie parti dello zoccolo rivolte verso il suolo (muraglia, fettone, suola, barre).

Il panettiere
La produzione del pane era un lavoro che si svolgeva di notte e il panettiere, seguendo tradizionali ricette, miscelava gli ingredienti (farina, acqua, sale, a volte strutto o altri grassi, lievito, riprodotto da un precedente pezzo d'impasto che si era lasciato riposare e prendere una naturale acidità sotto un piatto rovesciato in un angolo); poi lasciava lievitare l'impasto, lo modellava e lo cuoceva nel forno. Gli impasti erano diversi a seconda del prodotto che si voleva ottenere. Pur essendoci impastatrici elettriche e forni elettrici o a gas, gran parte del lavoro veniva fatto a mano.
Il mestiere del panettiere era molto faticoso. La notte, mentre tutti dormivano, lui si alzava, ogni giorno dell'anno e andava al lavoro per far avere sulle tavole, di buon'ora, quel croccante pane. Versava in un grande contenitore la farina,il lievito,un po' di sale e quando l'impasto era pronto cominciava il lavoro più duro , quello di lavorare con le mani la pasta fino a renderla più compatta e meno umida. La pasta veniva con forza schiacciata con pugni, allargata, riunita, girata e rigirata molte volte. Da quell'impasto ne staccava un pezzo, lo rendeva un lungo salame che poi tagliava con abilità e ad esso dava la forma di pagnotte. Successivamente i 'panetti' venivano sistemati su tavole e protette con teli perché lievitassero bene. Al momento giusto lo infornava, con movimenti secchi, metodici, con lunghe palette di metallo e aste di legno. 

Il pastore
Il pastore era colui che custodisce e si occupa del bestiame, generalmente un gregge di ovini. La pastorizia è una delle più antiche professioni esistenti. In passato allevavano principalmente le pecore perché erano fonte di carne, latte e lana.
Tra i doveri del pastore c'era quello di mantenere il gregge intatto e protetto dai predatori, quali lupi e volpi. Doveva, inoltre, controllare il momento migliore per tosare e mettere sul mercato la lana e mungere spesso gli animali, in modo da ricavare il latte. Alcuni pastori, col latte ricavato, producevano alcuni derivati, tra cui il formaggio.

Il tintore
L'uso indispensabile del telaio manuale, con il quale le donne producevano filati e coperte di seta, destinate a formare la dote delle ragazze del luogo, faceva obbligatoriamente nascere il mestiere del tintore. I colori di cui il tintore faceva uso non erano in polvere, ma in granuli, per cui, deposti in un recipiente di rame semiovale e munito di un lungo manico di ferro, dovevano essere ridotti in polvere pestandoli per mezzo del pillo. Molto usata era la granatina (colore estratto dalla melagrana), che veniva impiegata unendola ad altri colori per variarne la tonalità.
Per ottenere il nero, ad esempio, dopo avere immerso il tessuto in un bagno di granatna, si versava un particolare additivo, detto "legno campeggio" e poi una dose adeguata di vetriolo. La preparazione dell'indaco di Bengala (importato in zolle dall'Africa) avveniva mediante il filtraggio del colore con l'aggiunta di additivi speciali e tenendo il preparato a mollo per 24 ore. Ne scaturiva un colore che a prima vista faceva pensare al verde, in effetti, però, si trattava di una tonalità di blue (blue indaco) abbastanza resistente nel tempo: era quello il colore che conferiva dei meravigliosi toni cangianti alla saja (costume tradizionale) indossata dalla maddamma.
Facendo uso di grosse caldaie di rame, dentro cui il tessuto di seta o cotone bolliva al fuoco lento della legna, la tinta veniva data a più riprese. Generalmente, per arrivare ad ottenere, la tonalità di colore desiderata, l'operazione si protraeva anche per una settimana e forse più. Speciale attenzione veniva rivolta alla saja, per la colorazione della quale bisognava prima 'nzarvarla (togliere cioè le sostanze gelatinose della seta, tenendola a mollo per 24 ore in una particolare soluzione chimica acquosa) e poi veniva tinta a strisce di 60 cm. circa (così come usciva dal telaio). Per la stiratura veniva usato uno speciale metodo che conferiva ai tessuti (specie a quelli di seta) una particolare lucentezza, grazie alle gocce d'acqua che venivano spruzzate durante la stiratura stessa. Un cilindro avvolgeva per due giorni il tessuto di seta, facendo sì che esso rimanesse rigido come un foglio di cartoncino. Non erano rari i casi in cui il tintore si occupava anche della tintura della pelle. Colorazione che prevedeva ben quattro trattamenti diversi.

Ultimo aggiornamento

Lunedi 10 Dicembre 2018